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IntersezionArt – Estratto dal n. 2 del 24 aprile 2025.

GENOVA, 1984: RITROVATI UN DIPINTO E UN DIARIO. NEL 2025 IL TESTO È STATO FINALMENTE RICOSTRUITO GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

Genova, Italia – 24 aprile 2025

Nel 1984, durante lavori di manutenzione in un edificio nel centro storico di Genova, sono stati rinvenuti un dipinto e un diario anonimo. Il dipinto raffigura una figura femminile con tratti marini e un casco tentacolare. È stato conservato in un archivio privato fino al 2023, quando è stato acquisito dalla Fondazione A**** di **** *****o-***te**i.

Il diario, trovato accanto all’opera, conteneva pagine difficili da decifrare. In alcune parti, il testo era ricoperto da disegni sovrapposti e pagine ripiegate incollate su supporti non identificati. Per anni è stato classificato come non interpretabile.

Nel 2024, la fondazione ha avviato un progetto di analisi digitale in collaborazione con M******-AI, un sistema di intelligenza artificiale specializzato nella ricostruzione di testi danneggiati. Il sistema ha identificato sequenze di testo coerente, riuscendo a ricomporre un contenuto narrativo continuo.

Il documento è un diario scritto in prima persona, firmato con l’iniziale “A.”. Il testo descrive l’esplorazione di una grotta costiera non localizzata e la scoperta di una figura umanoide descritta in termini simili a quelli del dipinto. Secondo il contenuto, la figura si troverebbe su un altare in pietra ed è associata a simboli e trasformazioni visive che il soggetto registra in modo analitico. Non sono presenti riferimenti geografici o storici verificabili.

Il dipinto e il diario, analizzati in parallelo, mostrano elementi ricorrenti, come la creatura con tentacoli sul capo e uno specifico simbolo che appare invariato in entrambi i contesti. Nessuna prova diretta collega i due oggetti a eventi reali, ma la somiglianza è stata giudicata rilevante dal gruppo di studio.

Di seguito il testo ricostruito a partire dai frammenti recuperati:

Il suo volto è il mio, millenni più vecchio.
Quegli occhi chiusi mi guardano. Ha i capelli intrecciati. Tentacoli intrecciati. Ho paura. Canta con la bocca chiusa. Sento il mio cuore esplodere, va a ritmo con il suo. Non si ferma.
La guardo attraversare l’atrio, passa attraverso l’altare. È mistero aperto, la sua fronte si muove, si apre. Sto tremando, ma è forte, bellissima, ne sono travolto.
Si avvicina.
L’altare è aria per lei, l’oceano nella stanza. Lo sta bevendo. Bevo l’oceano. Bevo lei.
Si lascia toccare. La piovra. Tentacoli lucidi.

Una processione di creature si muove. Rituale. Portano doni alla madre. Li afferra con i suoi tentacoli. Coralli neri, perle vuote, occhi. Il suo trono è pietra. Non parla. Non ne ha bisogno. Lascia che sia io a capire, tutto quello che deve trasmettere passa attraverso l’acqua. Fredda. Calda.
Sei tu figlio in grado di bere quel che ti offro? Soffio?
Attendo immerso.
Galleggìo di fusione.
Colgo.
Mi posa sulla fronte la sua mano e preme sulla pelle. Mi lascia inciso i suoi tentacoli, adesso faccio parte di lei. Il suo tatuaggio brucia. Il cuore pulsa. Pulsa al ritmo con il suo. Non si ferma.

Hanno sussurrato che se ne stava ad aspettare. Io arrivo e apro la mia piccola cassetta. Disegno a terra con il gessetto, non ho molto da fare, basta un simbolo ben copiato dalle mie carte. Le ho sempre addosso. Quando (di)segno il primo tratto ho un brivido, sale dalla mano fino al collo. I miei capelli si irrigidiscono, gli occhi non mettono più a fuoco. Continuo. Passo un’altra volta il gesso sulla pietra a formare delle piccole falci, strido nei movimenti, fermo il polso con l’altra mano per non sbagliare. Sono pochi i segni da fare, ma ne resterei turbato se non riuscissi al primo colpo.
Finisco.
La grotta si apre a spirale, sento lo sciabordio dell’acqua a pochi metri dall’ingresso, schizzi mi colpiscono, l’odore del sale, l’odore delle alghe, il marciume in fondo nel buio risale. Le pareti a spirale respirano, si portano via l’aria, nervature, arterie in attesa di pulsare.
Segno con il gesso e sento un’eco tornare indietro. Poso una mano a terra dove ho disegnato e le mie labbra si muovono da sole. Pronuncio la formula che ho imparato a memoria. La ninna nanna che ha accompagnato le mie serate infantili, l’addormentarsi lento nella nenia sempre uguale. Qui la uso a proposito e sento le arterie delle pareti rispondermi. Sento.

Gli occhi vedono al buio, può essere passato un tempo incalcolabile o un solo secondo. Le mie labbra sussurrano ancora la nenia, scolpiscono sussurri. Sussurri. Arterie e sussurri.
Si muovono le mie gambe, avanzano. Sulla lingua ho il sapore del sale, i piedi affossati nel viscidume. Alghe in putrefazione. L’aria sottile. Le braccia e le gambe fredde, il mio giubbotto non ripara (non ho riparo).
Suoni dal fondo, un accenno di luce. Si dilatano le pupille. Sono di fronte a una sala, immensa, una fluorescenza che non proietta ombre. Ci sono forme che mutano. Al centro mi colpisce la grossa pietra come un altare. Vedo iscrizioni. Un simbolo è il mio.

Le spirali si piegano su se stesse, occhi finti che guardano dentro. Le arterie si sono ravvivate. La fluorescenza che emanano le rende a tratti trasparenti, una pulsazione. Le mie gambe si muovono sole, mi avvicinano all’altare ed è come se apparisse per la prima volta, come emersa. Strano a dirsi, il perché prima non l’abbia notata. Perché sia venuto meno il mio essere, l’attenzione persa nei non dettagli, in così che poco importa, l’intorno mi ha distratto.
Eccola adesso, qui davanti a me, rannicchiata la figura è immobile. Metà donna, metà abisso. Il suo volto è nel mio, mille anni più vecchio.
Connessione.
Il suo non movimento si connette.

Parole che arrivano dal nulla, il nutrimento nella memoria dell’acqua. Sulla sua pelle compaiono nuovi segni, si muovono, ma ce n’è uno che non muta mai. Il mio. Quello che ho disegnato a terra per arrivare fin qui.
Parole arrivano, mille pensieri si accartocciano e sento il mare sopra di me. Alzo lo sguardo per un attimo, ma non vedo nulla. Lo sciabordio è lontano, l’odore meno intenso, l’aria più respirabile. Davanti a questa creatura sembra infrangersi il creato, si porta via il brutto e il male e fa entrare qualcosa di diverso, che non afferro. Indistinto. Sconosciuto il battito lento dell’abisso, lo immaginavo soffocante, sbagliavo. Sulla mia pelle si muovono i suoi segni. Il mio no.

La creatura sull’altare si muove, il suo petto ha cominciato a sollevarsi con un ritmo lento, una marea che sale e si ripete, interna di lente convulsioni, si agitano piano i tentacoli nella sua testa, i segni sul corpo si fanno più evidenti e si impressionano sulla pelle, il mio scopare, assorbito nel ventre, lo vedo assumere la forma di una placenta, si illumina un momento e poi svanisce. Le unghie stridono nella pietra, le mani si irrigidiscono. Dalla pelle cola un fluido, olio e acqua, come a spurgare, quando i liquidi toccano a terra, risplende il cielo, così mi pare, per un attimo ho visto il cielo, poi più niente.
Si intrecciano i tentacoli. Il loro risvegliarsi crea un suono che mi da i brividi.

Si muove la creatura, si mette in piedi e mi sovrasta, anche se non fosse (in piedi) sull’altare sarebbe enorme. Il suo corpo è perfezione divina, l’acqua la circonda, la protegge.
Quanto è illecito avvicinarsi a tanta divinità, quanto male ho fatto al mondo a trattenermi. Avrei potuto morire di tanta bellezza, poiché da solo, qui ad ammirarla sto male. Non condividere tanto amore per l’abisso è un oltraggio alla vita stessa.
Quanta ipocrisia la mia. Non voglio niente da lei? Se non respirare quel che lei respira, sentire come lei sente, divenire oceano quanto lei lo è stata finora (?) Vorrei chiedere abisso in realtà. Ipocrita che sono. Mio unico desiderio è che lei mi perdoni.

Fotografie del ritrovamento:

L’enigma di “A.”: 

 autore, testimone o invenzione?

È ancora oggetto di studio l’identità dell’autore del manoscritto rinvenuto all’interno di una soffitta nel centro storico di Genova, accanto a un dipinto raffigurante una figura femminile dai tratti marini. Del soggetto identificato solo con l’iniziale “A.” non esistono al momento tracce documentarie. Non si conoscono le circostanze della sua presenza in quell’edificio, né è chiaro se vi risiedesse stabilmente, se vi si fosse rifugiato temporaneamente o se la sua figura sia del tutto scollegata dai precedenti proprietari dell’immobile.

Ancora irrisolta è la questione dell’attribuzione pittorica: non esistono prove che leghino direttamente “A.” alla realizzazione del dipinto ritrovato insieme al diario. Alcuni studiosi ipotizzano che possa esserne l’autore, sulla base di analogie tra il linguaggio visivo dell’opera e le descrizioni contenute nel testo. Tuttavia, non sono emerse firme, indicazioni stilistiche univoche o riscontri tecnici che possano confermare questa ipotesi. Non si esclude nemmeno che il dipinto possa essere opera di un terzo soggetto, o persino un oggetto trafugato e successivamente nascosto.

Il contenuto del diario è ambiguo. Redatto in prima persona, alterna osservazioni minuziose a sequenze testuali frammentate, con elementi che rimandano a esperienze visionarie o a una possibile scrittura simbolica. Alcuni passaggi sono stati interpretati come il prodotto di un delirio onirico o di una condizione psichica alterata; altri, al contrario, mostrano una costruzione consapevole, prossima a una forma di narrazione poetica intenzionale. La struttura non segue un impianto cronologico lineare e, in più punti, è interrotta da annotazioni visive o segni grafici che complicano ulteriormente l’interpretazione.

La figura di “A.” resta, ad oggi, non verificabile. La Fondazione A**** di **** *****o-***te**i, che attualmente conserva i materiali, ha reso pubblico il contenuto ricostruito, ma l’identità dell’autore e la funzione originale del diario rimangono aperte all’interpretazione critica. In assenza di dati storici certi, “A.” è, per ora, una presenza liminale tra testimone, autore e possibile costruzione narrativa.

IntersezionArt – Estratto dal n. 2 del 24 aprile 2025.

Il dipinto

Presentato sia nella sua versione originaria che in una reinterpretazione dai colori più accesi.

Il video

Non da ultimo, tutti i membri della Fondazione si interrogano sul contenuto del piccolo scrigno ritrovato accanto al dipinto. Al suo interno, una pietra dipinta nella parte superiore con un simbolo — lo stesso che compare sui frammenti del diario e su una videocassetta VHS contenente uno strano video, che presentiamo qui di seguito in una versione restaurata digitalmente.